domenica 29 dicembre 2013

Specchio delle mie brame

1
Che anno quel che ora corre via:
tra enigmi ardui e giochi di favella,
un uom ch’è scrigno vero d’alchimia
sorse d’un tratto nella vita mia.
O Muse, voi dall’Eliconie cime
grazia e vigor spirate a le mie rime.

2
Ei pria conobbi tra mentite spoglie,
qual Ninninedda di parol virtuoso;
ma tra stupore ver fin alle doglie
fui tosto vinto da segno imperioso
ch’ei tratto avean da mia madre stessa,
tal era simiglianza vasta e spessa.

3
Non perviamente vissi l’agnizione
ché l’amor proprio agogna l’eccezione.
E tuttavia ampliandone nozione
cresceva a dismisura suspicione
d’una medesimezza mera e fiera
che al vento garriva come una bandiera.

4
Mi colse poi crudel melanconia
per tema ch’ei al par di me soffrisse
l’istessa accidia, la misantropia
de l’ironia dell’aspra Apocalisse
ch’è tutto vano fuor che l’oro puro.
Ma l’oro puro poi è a tutti oscuro.

5
(…)

6
Poscia dubbi e timor fugò allegrezza
ché folleggiar per testi rilucenti
tra spume di parol fin all’ebrezza
volando l’onde e pure le correnti,
Ben molce l’alma e nutrica la mente,
Se duce Franco Chirico, sapiente.

giovedì 26 dicembre 2013

Happy Birthday alle #scritturebrevi di Francesca Chiusaroli


Nel genetliaco di scritture brevi,
Francesca Chiusaroli nostra diva,
Di noi sbandati, agognata riva,
Orniam di mille fiori lieti e lievi.

Lei ci raccolse or d’eterne nevi
Or da contrada callida o cattiva,
Con largo cuor e mente sì affettiva,
Sì con carezze che mai furon grevi.

Degl’estri multiformi vaghi e vari
S’ha da estrapolar la parte netta,
Sicché è virtù maggior l’esser avari


Ché sorte ben il bel da cruda accetta.
Per non tradir or quei precetti chiari,
Sol devesi brindar all’etichetta.



*Or ch'essa ha valicato monti e mari,
con segni e spazi e insuperabil Conte,
del second'anno festeggiam del pari

con un serto fiorito sulla fronte
di chi nel dì di bagordi nefasto
quel bel cancel cavò dall'orizzonte.


*(26 dicembre 2014, coda per la seconda candelina)

martedì 24 dicembre 2013

Si dolce è 'l tormento


Un bel dì rovistando cantate barocche, trovo un'Aria* che subito abbaglia come diamante iridescente, e nondimeno per qualità misteriose e rare. Dopo aver deplorato la mia crassa ignoranza che finora mi aveva privato di una simile indispensabile opera di catastematica bellezza, ne comincio ascolti molteplici, delibando il testo, nonché gli autori.
Del sommo Claudio Monteverdi (Cremona, 15 maggio 1567 - Venezia 29 novembre 1643) il genio è a tal punto noto, che nulla v’è da aggiungersi, ma più incerta è la fama dell’autore del testo, tale Carlo Milanuzzi da Santa Natoglia (Esanatoglia 1590/92 - 1647 ca.) compositore, organista e, dio ne scampi, sacerdote.
Chi vuol saperne quel poco di più che se ne sa, può compulsare Carlo Milanuzzi sul Dizionario Enciclopedico degli Italiani.
L'Aria è Si dolce è 'l tormento, pubblicata nel Quarto scherzo delle ariose vaghezze (Venezia 1624), una composizione di quattro strofe, ciascuna di 10 versi senari con schema metrico ababccbddb, dove b è un senario tronco, che ne assicura un ritmo scandito di patetica cadenza. La curiosità s’infiamma allorché scopro, con un provvidenziale colpo deretaneo, che il bellissimo incipit Si dolce è 'l tormento, Carlo Milanuzzi non l’inventa, ma lo riprende genialmente dalla canzone Sdegnasi il tristo cor talor, s’avviene di Baldassarre Castiglione, (Casatico, 6 dicembre 1478 - Toledo, 8 febbraio 1529) che l’autore del Cortegiano aveva ben celato in un endecasillabo:
E bench’io arda, si dolce è ‘l tormento,
che de le pene mie sol piacer sento.
Nella tradizione poetica le citazioni e i prestiti sono merce corrente, ma qui Milanuzzi con una destrezza degna di Arsène Lupin, mediante l’effrazione dell’endecasillabo a minore, ne ricava per refurtiva il diamante del secondo emistichio, compiendo un atto maieutico radicalmente creativo perché porta alla luce il senario nella sua naturale e finora ignota autonomia formale.
Poi Monteverdi con mirabile intuizione distende la melodia dei versi di Milanuzzi in una linea armonica continua, dilatata e rarefatta che mitiga le cesure dei troncamenti del testo, mantenendone appena l’eco, così da ottenere la sintesi sublimata di un delirio d’amore dolente e sommesso, sospeso tra speranza e tormento, come incandescente passione imprigionata nel ghiaccio.
Tra le interpretazioni disponibili, molte son belle, degna di menzione è senz'altro quella di Philippe Jaroussky, ma il vertice insuperabile è attinto da Anne Sofie von Otter che fonde in un unico registro emotivo testo, melodia e armonia, raggiungendo, com’è consuetudine per Anne Sofie, vette semplicemente sublimi, ciò di cui può rendere chiarissime testimonianze il valoroso pianista Dino C. da Brescia, uomo eccellente, ancorché mio sodale di passo.
Senonché lo stupore non cessa ancora, poiché Si dolce è 'l tormento finisce tra le mani sapienti e sensibili di Paolo Fresu e Uri Caine, che nell'obliquo chiarore delle stelle del jazz reinterpretano la delicata gemma, distillandone per rarefazione screziati bagliori ulteriori, così da ribadirne la misteriosa e prodigiosa fecondità intertestuale, ad ogni evidenza, inesauribile.
Ma bando a queste mie involute ciance più vaghe del vento, volgar guiderdone d’un tardivo cimento; ecco le musiche e il testo, che risarciranno i mie tre lettori per la smisurata pazienza che han dimostrato. Leggendomi.


*Un colto e attento lettore, a me noto solo come Simo Ing, mi ha provvidenzialmente informato che confondere una Cantata con un'Aria costituisce una fatale castroneria. Ho posto mano immantinente alle due indispensabili correzioni del testo, nella vana speranza d'essere risparmiato dagli strali di Monteverdi, nonché dal tormento tutt'altro che dolce per la riprovevole imprecisione. Chiedo la clemenza della corte dei tre lettori, e da ultimo, ringrazio Simo Ing, senz'altro.


Anne Sofie von Otter









Paolo Fresu e Uri Caine 







Testo
(versione attendibile ma non verificata sul codice originario)

Si dolce è 'l tormento
Ch'in seno mi sta,
Ch'io vivo contento
Per cruda beltà.
Nel ciel di bellezza
S'accreschi fierezza
Et manchi pietà:
Che sempre qual scoglio
All'onda d'orgoglio
Mia fede sarà.

La speme fallace
Rivolgam' il piè.
Diletto né pace
Non scendano a me.
E l'empia ch'adoro
Mi nieghi ristoro
Di buona mercé:
Tra doglia infinita,
Tra speme tradita
Vivrà la mia fè.

Per foco e per gelo
Riposo non hò.
Nel porto del Cielo
Riposo haverò.
Se colpo mortale
Con rigido strale
Il cor m'impiagò,
Cangiando mia sorte
Col dardo di morte
Il cor sanerò.

Se fiamma d'amore
Già mai non sentì
Quel riggido core
Ch'il cor mi rapì,
Se nega pietate
La cruda beltate
Che l'alma invaghì:
Ben fia che dolente,
Pentita e languente
Sospirimi un dì.

domenica 1 dicembre 2013

Pearl Harcor

La guerra di Silvio

Good Morning, Viet Nan.
Itagliani di terra, di mare e dell'aria: un'ora segnata dal festino batte nel cielo della nostra Patria.
Ricorda cara, è l'aratro che traccia il solco, ma è lo spacco che lo difende.
Se avanzo seguitemi, se indietreggio, beh non facciamo scherzi da spogliatoio, cribbio.
Tenente colonnello Daniela Kilgore delle Sante Hanke: «Adoro il profumo del napalm siliconato al mattino».
Schierare le avanguardie di truppe scelte a Omaha Bitch.
Urlo pitonico del Tenente colonnello Daniela Kilgore delle Sante Hanke: «À la guerre comme à la guêpière».
Infiltrare le linee nemiche con unità d'élite olgettine nella guerra con le cerbottane.
Marcia di guerra: Topalin, Topalin, viva Topalin.

Bibliografia
Sandr Von Bondausewitz: La guerra è la prosecuzione della politica con altri due pezzi;
Sandr Von Bondausewitz: Si vis pacem, para quellum;
Lao Tsa Tsa: Per chi suona la bandana;
Gaio Draculio Sallusti: Hic sunt lenones.

I dubbi del nonno in carriola

Quali sono i margini di lucidità nel governo della copula?



Colore verde bile, al naso muschio macerato e stallatico. Gusto allappante da rècere all'istante: Brunetta di Montalcino?

Il poeta dell’allegria onicofagica: Giuseppe Unghiaretti?

La letteratura sta a twitter come il testo sta al testicolo?

La pescivendola dei divi con banco a Campo de’ Fiori si chiama Lorella Baccalà?















La showgirl che si cospargeva di yogurt il lato B. è Pippa Grillo?

Il ganzo della pecora Dolly è George Cloonay?

Renato Brunetta Altissimo è un contraddittorio liberale?

Il bilioso rivale Miguel de Cervantes, gli ellenizzava in modo priapesco il nome chiamandolo: Penelòpe de Vega?













Zeta-Jones. L'orgia del godere?

Gli ospiti sfibranti regalano definitive esperienze letali?

Il più grande condottiero idraulico è stato Epam Inonda?

Zanzare. La citronella è di destra. La ciabatta è de sinistra. La racchetta elettrificata è Wimbledon. E i vaporizzatori a muro, sono attacchi suicidi?

La frattura del pene a guisa di contundente commento esclamativo di qualsivoglia evento?

Esercizi per amnesie e refusi. E un ircocervo

A guisa d'introduzione, un pedestre palindromo: «i dèi piedi».

Anagrammi
Le città invisibili: «Stinti cieli libava»
Giovanni Boccaccio: «In covi bacio gnocca»

Doppie letture
No lapis t'amai = No, la pista mai.
Se eteroclito ride molto a ma’ = Se etero, clitoride molto ama.

Pangrammi
Oh Franco, quali bei vizi postiamo oggidì?
Brama quieti ozi e vaghe sponde felici.

Variazioni
Lector in fabula, Umberto Eco
Lector in fabula, Ecco Umberto
Lector in copula: Michele Psello
Lector in copula: Ah verro è
Lector in copula: Hermann Hessere
Lector in crapula: Epacuro

La peau douce di François Truffaut
La peau pouce
Lapo douce
L’ape au douce

Panta rei
Panda rei
Panta nei
Penta dèi
Panta bei

Melodramnesie
La costruzione di un alone
Àncora tu
Presto con fuoco me lo dia
Vape in siero
Castra diva
Dilegua, o botte! Tramontate, stelle! All'alba mingerò! Min gerò! Min ge ròhoooo!
L'amore d'Alfredo pur esso mi manca, conforto, sostegno dall'anima all'anca.

Freschi di stampa
Le sere e il tempo ad Auschwitz di Martin Heildegger
La vita della mentula di Hannah Harenditi
La fenomenologia della spirita di Georg Wilhelm Friedrich Strhegel
Il crudo e il coito di Claude Levi-Strausskahn
Sequestro un uomo di Stoch Ohlm
Durée et simultanéité, à propos de la théorie d'Ogine Interruptus di Henry Bergsogni

Ircocervo

Chita Hayworth straordinaria interprete di Gildondolo e Sangue e altalena.

Tweettiadi 4/13

Cum ira et studio

Novembre 2013


Neurocapitalismi
 
Perfino Lapo El Kan s’impanca a guru.
Ma tra un lazzo e un apoftegma
Par ch’esali odor di perso smegma.

Sia pur che la follia non ha confini,
E nondimanco, al pastaro e barillato ceo
Niun negar potrà la fama di babbeo.

Spaghetti cannelloni ovver ditali,
Lasagne fettuccine e bucatini
Non usan compulsare genitali.


A Cernobbio Letta o Casaleggio
O Lagarde o il vil Brunetta
e se serve persino Berlusconi,
purché ai padroni non rompete li c.

Quaternari alla maniera di Gabriello Chiabrera
Ah Marina
Dal sembiante
Di gallina
Certamente
Qual zarina
Del demente
Prendi ‘l posto
Col cipiglio
Alto e fiero
D’un rigonfio
Calimero

Decameron, giornata quarta, novella quinta
Di Lisabetta amor ruinò sì presto,
Per cruda mano dei fratei  gelosi,
Sì che l’amar fu lacrimar s'un testo.

Stefano
E certo l’uccise e la sete e la fame,
Non le ferite e le botte nella notte,
E della legge il suo volto più infame.

Il Capitano
Pupi Javier Zanetti mio Tractor
Aleph d’amor del cielo e della notte
Di tanghi e fughe e brividi e passion

Ma la rosa di Courbet,
era adorna di un toupet?

domenica 10 novembre 2013

ConFermo è Lucia!

Caos-chiasmo di sposi promessi


ConFermo è Lucia!
«Quel ramo tra due seni, che a Como a mezzogiorno volge tutto a non interrotte catene di monti e di golfi del lago».

I promessi sposi
«Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi».

domenica 27 ottobre 2013

Il punto d’onore

(Frammento)

Un attaccapanni all'angolo della stanza, con aguzze punte rivolte verso l'alto, spoglio come un albero in autunno, prossimo ad un mobile basso che corre lungo tutta la parete verso l'angolo opposto privo invece d'ingombri. La parete di fianco sventrata da una finestra verdeggiante, soffocata di rami e foglie, perfettamente celata come neppure il pertugio mimetico di un cecchino. Dentro i confini della sua verzicante macchia di luce, un'arresa scrivania in compagnia di una vetusta sedia girevole e con le rotelle, che ai suoi bei dì dovette insuperbire il suo assiso titolare, il quale pur di girarsi e gironzolare come un paraplegico, non avvertiva nemmeno l'appiattente martirio gluteare ed il tormento lombare, provocati dal solenne trono in similpelle, ultimo modello, alla faccia degli invidiosi colleghi. Sull'angolo destro il computer declinante senza tregua un originale standby in carattere greco antico, «ho ben fatto il classico, io!», ed un altro ripiano stretto e lungo a ridosso del muro sulla sinistra, dietro il trono.

Questa ricca dote, bensì accattata di qua e di là, ornava l'arca del quotidiano viaggio dalle ottoetrenta alle diciassette, salvo diverse timbrature, per scampare alla fame e ai debiti.
Ora, in un simile lussureggiante giardino, davvero soltanto un animo intirizzito dall'ignavia o piuttosto afflitto da una perniciosa e nativa infecondità sarebbe potuto rimanere insensibile al richiamo delle muse, sottraendosi al dovere d'evacuare copiosamente gemme poetiche, voli d'ingegno, tuffi mistici con ghirigori e arabeschi e acrobazie letterarie d'ogni tipo.
Si capisce, tale slancio fabulatorio avrebbe potuto prendere l’abbrivio solo nei rigeneranti intermezzi di lettere con protocollo e oggetto, deliberazioni in procedura d'urgenza rivolte, s'intende, a promuovere l'interesse generale, nonché a rimuovere quel che osta, al fine e ai sensi e con i cordiali saluti, addì, e da ultimo l'indispensabile, in calce, firma del dirigente. L'apposizione di timbri d'utilità imperscrutabile, nonché l'indicazione dei nomi e titoli rispettivamente del Responsabile e del Trattatore della pratica, avrebbero condotto a termine la fatica e di bel nuovo dischiuso l'animo al bello al buono e al vero. E di lì cascate ripullulanti di preziose escogitazioni poetiche.
Salvo ricevere ulteriori istruzioni, si capisce urgentissime, circa l'inderogabile necessità, per conformità, in ordine ad una colpevolmente trascurata regolarità, di aggiungere timbro tondo accanto al timbro lineare, ché il timbro rettangolare invero esonera dal tondo, ma giammai quello lineare. Senza che poi ciò abbia a destare stupore alcuno, dacché le carte di particolare rilievo devono recare sigilli di molteplice geometria, sbavanti inchiostro setacciato, così da ridurre bensì le suddette carte come la sputacchiera di un abominevole catarroso, ma, d'altronde, elevate infine alla più incontrovertibile legalità.
Se il senso del bello può ben tollerare interruzioni, essendo d'altronde per definizione intermittente, forse si potrebbe temere, in simili circostanze, una qualche sgualcitura dei testimoni eterni. Solo a patto però di congetturare, per mera ignoranza, che un Trattatore di pratiche nell'esercizio delle sue funzioni, tenga alla precisione delle sue opere in una misura diversa che all'onorabilità della propria stessa madre. Ma tale congettura, ovviamente, è del tutto inverosimile, anzi assurda.
Infatti, all'uopo, pardon, in proposito, si racconta di un celeberrimo Trattatore di pratiche che apostrofato con durezza dal suo caposervizio per aver fatto eccessivo uso di virgole, in violazione dei provvedimenti restrittivi imposti dal dissesto burocratico incombente, trovò il coraggio di replicare, vincendo con uno sforzo sovrumano la sua naturale e trepida remissività.
«La prego dottore di denunciare piuttosto l'incertezza della mia paternità. Insinui senz'altro che mia madre abbia condotto una vita leggera e dissoluta, degna della più severa rampogna morale. Dica pure che la mia mammina amata adescava uomini agli angoli delle strade per condurli in un ben noto paradiso, dove i malcapitati erano costretti a urlare follemente di piacere, per la misericordia delle sue esperte e genuflesse preci labiali. Non indugi, in aggiunta, ad attribuire alla mia povera madre permanenti inclinazioni alla sodomia più efferata attuata con ogni mezzo.
Se vuole si spinga a proclamare che io stesso, novello seguace di Alcibiade, in disprezzo del mio sesso e contro natura, abbia ereditato degnamente tutte le suddette perversioni materne. Non esiti neppure ad accusare che pur di perpetrare ad ogni costo tale cumulo di nequizie, mi accompagnerei perfino agli zampettanti migliori amici dell'uomo: ché la sodomia porta con sé inevitabilmente la zoofilia, salvo che nel mio caso si tratterebbe d’irriferibile zoofilia passiva. 
Mi dorrei per queste ingiuste e infamanti invettive. La rosseggiante e recente ferita per la perdita della mia cara mamma tornerebbe a divampare come l'incendio di Troia. Qualche colpo subirebbe parimenti la mia autostima di eterosessuale incorruttibile e di amatore di apprezzata virtù e conclamata generosità. Poiché in verità nemmeno col lanternino sarebbe possibile trovare una sola delle donne che hanno avuto l'avventura di partecipare ad un furioso e indimenticabile congresso carnale da me officiato, non dico insoddisfatta, ma che si sia ancora riscossa dallo stupore e dall'estasi.
Tutto ciò, per quanto grave e lesivo del mio onore personale, io l'accetterei, sono uomo di mondo, veh. Ma non potrei, non posso, non potrò mai tollerare che la minima ombra del più lieve sospetto sfiori la mia reputazione d'integerrimo Trattatore di pratiche.
Come ha potuto, senza tema che le ridondasse a perenne vergogna, solamente immaginare di poter censurare le mie irreprensibili scelte d'interpunzione? Non avrebbe dovuto neppure osare. Eserciti piuttosto la sua vigilanza e censura sulle interpunzonature apocrife della frequentatissima cavità pubica di quella troia di sua moglie.»
Il caposervizio basito e confuso e sconvolto trattenne la stizza, pensando ai guai sindacali, sicché si limitò a bofonchiare rassicurazioni di risarcimento per congedarsi al più presto. Ma il Trattatore bloccata l'unica via di fuga dell’odioso superiore, riprese la battaglia ché giustizia non era ancora fatta.
«Certo lei potrebbe credere che io trascenda nel cattivo gusto con allusioni ineleganti e sgradevoli, ma soprattutto approssimative. Voglio al contrario disilluderla, poiché mentre sono note e acclarate ed empiricamente accertate le interpunzonature di cui sopra, che lei ipocritamente fa finta d’ignorare, sulla quantità delle mie virgole, al contrario, lei esprime inconsistenti e labilissime opinioni, prive di ogni fondamento. Le norme e le forme dell'interpunzione da me certosinamente applicate, appartengono ad una scienza certa e consolidata e indubitabile, altro che le sue capricciose opinioni, scienza da me coltivata in lunghi anni di entusiasmante studio, approfondimento ed esercizio. Senza nutrire la minima vergogna per la sua crassa e belante ignoranza, è giunto dunque alla temerarietà di non astenersi dall'esprimere questi giudizi totalmente gratuiti, anzi raglianti, su una mia pratica. Ma bravo! Ma bravo. Come se la scienza permettesse i suoi punti di vista arbitrari e soggettivi. Le sfugge del tutto che l'interpunzione è cosa della massima importanza, fonte della significanza di ogni testo, madre di ogni ben formato costrutto o perifrasi o proposizione, custode demiurgica del perfetto enunciato. Quale differenza se scrivo "La moglie del caposervizio è una bella donna...", oppure "La moglie del caposervizio è una bella donna". Nel secondo caso formulo irrefragabilmente un complimento, nel primo, invece, con la semplice e banale aggiunta di due piccolissimi puntini, due insignificanti cacatine di mosca, si spalanca una voragine di incertezza etica sulla sua degna consorte.
Ebbene, la pratica da cui ha osato trarre indebito spunto per la sua squallida censura, sappia, l'ho sottoposta a ben trentasette - dico - trentasette revisioni. Che fa? Adesso inarca il sopracciglio? Vorrebbe forse fare dell'umorismo da usciere? Trentasette revisioni le sembrano troppe? Che siamo pagati per fare in fretta? Che il tempo è denaro? Per nulla, il tempo è ben più importante del denaro, la smetta con questi frusti luoghi comuni. D'altronde perfino un'aquila come lei può intuire che la perfezione non ha prezzo. Di più, nemmeno in capo a settantaquattro revisioni altri, e non faccio nomi perché exempla sunt odiosa, altri, dicevo, avrebbe saputo raggiungere il vertice di ritmica purezza e precisione semantica della mia pratica in oggetto.»
Il caposervizio vinto e sfinito, provò ora disperatamente a scappare con più ferma risoluzione. Pur di riguadagnare il suo ufficio avrebbe riconosciuto volentieri l’adulterio della consorte chiedendone la condanna con rito sommario perfino di fronte ad un tribunale ecclesiastico. Ma a ben altro ancora si sarebbe piegato. Avrebbe senz'altro proclamato ai quattro venti l'adamantina santità della povera madre del Trattatore. Patrocinato ardentemente presso sua santità il pontefice la causa di beatificazione per i meriti e i crismi palesi della pia donna. Inoltre con genuina contrizione avrebbe riconosciuto che il figlio della santa era un satiro, anzi un fior di scopatore d'inconcussa reputazione virile, ch'egli medesimo al contrario era un impotente. Si sarebbe infine piegato, per suprema ricompensa, a candidare il dipendente, tanto misconosciuto quanto ardente seguace di Priapo, a tutti i premi di produzione degli anni a venire, fino alla pensione.
Ma il Trattatore spietato, con torrenziale e tracimante eloquio proseguiva la sua indignata arringa, divenuta ora implacabile requisitoria, che mulinava argomenti ancor più stringenti e contundenti, incatenati a gragnuola come nella terrificante sequenza di un bombardamento a tappeto, tale da radere ogni postazione nemica al suolo.
Dal suolo raccolsero il caposervizio esanime, all'alba dei settantanove minuti della vibrante filippica del Trattatore. Un colpo apoplettico. Che tutti si affrettarono ad imputare al duro lavoro. Ipocritamente.

lunedì 16 settembre 2013

Il sogno delle nuvole e il croco

Andante appassionato e tenero con espressione

(Frammento)     

La luce dilagante del meriggio rovente ghermiva ogni cosa, la strada le case la campagna restavano immote e intimidite, sul punto di perdere la loro povera identità, appena costituita di profili incerti.
Il devastante bagliore, infatti, impossessandosi d'ogni forma disponibile, rendeva tutto magmatico e fluttuante e instabile. Come un barbaro sterminatore nulla risparmia nel suo tremendo e rapace passaggio, così quel meriggio divampava fermo e implacabile, recando una vertigine accecante che afferrava tutto in un tremito di sfinimento fino a dissolvere il paesaggio in una vana fuga di linee incerte e mobili.
In un mondo infine arreso e indistinto, la luce celebrava il suo abbacinante trionfo, tanto prossimo alla morte, salvo un brutale palpito di vigore, ignoto al baratro della notte.
E in quella luce, in quella notte, tra mille visioni che vengono e vanno, lungo una spirale estenuata appesa al pendolo inerte del delirio di quella notte, di quella luce, l’apparente tramonto nel sogno è l’unica salvezza tra la fuga e l'oblio.
Dov'era in quell'istante il fiore di roccia che aveva inebriato la sua vita? Perché. Perché. Un'impervia strada rotta e contorta e polverosa con ciglioni aguzzi e ferrigni, e dai sassi inariditi, prima promana un profumo fragrante di luna, poi si leva un cerchio di voluttà irresistibile che perde nella meraviglia lo sguardo.
E la gioia ignota di affondare le proprie dita in quella carne, lungo quei fianchi levigati e rapidi, e poi naufragare nel turgore del suo morbido seno, fertile delta di una nostalgia indefinibile. Una caduta trattenuta e rapinosa in un mare tempestoso e accogliente.
Poi il fremito del tiepido ventre come pioggia primaverile e selvaggia, scroscio improvviso che esalta il cielo limpido e la terra calda di fiori e profumi, allegri e sensuali.
Quella carne. Quella pelle. Quel rapimento che dischiude il vuoto. Soglia attraente del nulla. Precipizio felice che nel vortice della caduta disvela, appena per un istante, il ristoro del precipitare nel vento, la gioia del disfacimento dei cardini, la sublime bellezza della morte.
Così in quell'indifferenza inesplicabile che coglie sulla soglia di ogni vicenda estrema, esitano le passioni in attesa di compiersi tra i nervi e la carne, nell'interludio obliquo dove il fato non ha ancora sciolto i suoi enigmi, come un bambino prima che i dadi abbiano finito la loro breve e macilenta corsa.
Ah toccarti, baciarti, possederti, i seni sfiorarti, leccarti le cosce e suggerne serica ambra. Nei fremiti della tua valle dischiusa cercare il sentiero, dopo avere indugiato contro l'incavo del ventre, valicando di venere il monte e l'aspra vetta e vellutata, fino a sentire le labbra rugiadose, di cupidigia indurirsi. Poi i tuoi lombi con veloce vigore tendersi contro i miei fianchi nell'abbraccio avido e furente dell'onda spumeggiante del tuo corpo.
E scuotere di rosa una cascata di petali sopra la pelle divenuta un tappeto di nervi percorsa di lampi e sussulti, del tuo desiderio e delle mie mani, delle tue mani e del mio desiderio.
Con le mie mani che strappano l'ultimo lembo di nulla tra i corpi, con le tue mani che l'ultimo gemito d'una resistenza sfinita, nelle dita trattengono; prima del fiore di luce e tenerezza che ci invade nel soffocato brivido dell'urto dei corpi che le sensazioni reciproche infrange e confonde in un solo torrente di velate visioni e brumose e marine, gravide di attesa e di oblio come l'aurora.
Urtano i corpi in un volo di farfalla rincorso interrotto randagio, che fugge verso l'interminato orizzonte, come avventura che ignora il suo scopo, in una tenzone che sa che la lotta è palio più alto della insulsa vittoria. Negli intervalli poi bere al croco delle nuvole tue errabonde, e del tuo collo solcare di rosso il niveo albore, cogliendo coi baci le schegge variopinte del tuo desiderio che nutre il mio desiderio, che nutre il tuo desiderio che nutre il mio desiderio.

sabato 14 settembre 2013

14 settembre


All'opera preclara e preziosa di @diconodioggi

Anne e Béatrice Breidel, figlie del muratore belga François Breidel e di Elizabeth de Beaumont, nipoti di Fernand de Beaumont, archeologo suicida, e di Véra Orlova, cantante lirica allieva di Schönberg.
Véra della figlia Elizabeth fuggita non aveva avuto più notizie, fino al giorno in cui venne a sapere contemporaneamente della sua vita e della sua morte.

«Lunedì 14 settembre [1959] una vicina, udendo dei pianti, cercò di entrare nella casa. Non riuscendoci, andò a chiamare la guardia campestre. Cominciarono a chiamare, senza ottenere altra risposta che gli strilli sempre più acuti delle piccole, poi, aiutati da altri abitanti del villaggio, sfondarono la porta della cucina, si precipitarono verso la camera dei genitori, e li scoprirono, sdraiati, nudi, sul loro letto, con la gola tagliata, in un mare di sangue. Vera Beaumont ne fu informata la sera stessa. Il suo urlo rimbombò in tutto lo stabile. L’indomani mattina, viaggiando tutta la notte nell’auto guidata da Kléber, l’autista di Bartlebooth il quale, avvertito dalla portinaia, si era messo spontaneamente a sua disposizione, arrivò a Chaumont-Porcien per ripartirne quasi subito con le due bambine.»

Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso, Ed. Bur Rizzoli, p. 28

martedì 30 luglio 2013

Le ceneri corsare

Prefatio

Da appena qualche ora è terminato il progetto denominato #Corsari, ideato e promosso da Paolo Costa (@paolocosta), Hassan Bogdan Pautàs (@TorinoAnni10) e Pierluigi Vaccaneo (@piervaccaneo), consistente nella riscrittura su Twitter del testo di Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari, Milano, Garzanti, 1975. Ogni articolo del testo di Pasolini aveva un portavoce o Corsaro che prendeva il comando della ciurma alla mezzanotte, dopo il segnale orario fatidico scoccato da un tweet di Hassan Bogdan Pautàs.
Ho creduto ignobilmente di partecipare alla corsa con una terzina di benvenuto al corsaro che di volta in volta saliva sulla tolda. Ora, tali terzine, scritte per esser lette isolatamente, rilette in sequenza mi pare che restituiscano, non già la sensazione di un giornale di bordo o di un album di famiglia, quanto piuttosto l’effetto straniante di un flip-book, ossia quei blocchetti per bimbetti che fatti scorrere velocemente col dito riproducono la sequenza di un movimento, come il taccuino di Hugo Cabret, insomma. Ma un flip-book bambinesco è trastullo delizioso, perché non condividerlo con i miei tre lettori?
Giusto per darmi delle arie, nelle righe seguenti aggiungo una rapida nota ai testi, trascurabile e improvvidamente didascalica, giustificata solo dall’odore ludico del retrobottega dove ho raccolto i brani, gli arnesi, le frattaglie e le pinzillacchere poi ordinati in metro e rima. Ecco, dunque.
L’esordio per Atrapurpurea, invocata nostra corsara, imponeva vette altissime, pertanto la scelta del più bel verso crinito di Petrarca era obbligata. L’estenuato petrarchismo aveva però generato “Chiome d’argento fino, irte e attorte”, forse l’episodio più straordinario di parodia burlesca della letteratura italiana, grazie al diabolico genio oulipista ante litteram di Francesco Berni, sicché s’imponeva un controcanto ironico alla maniera bernesca.
La Luna che inargenta è volgare furto a Casta diva, mentre Blutrasparente si prestava a pervio dattilico senz’altro.
Per Francesca Chiusaroli un’anafora in trompe-l'œil mi pareva gioco acconcio alle sue sapienti #scritturebrevi. Mentre con Ladyrediviva, ancorché d’incipit leopardiano, l’ottonario suonava dolce e divertente, ipèrmetro al secondo verso per la voglia di citarla. Quale soddisfazione conficcare Exlibris in un endecasillabo, quale che fosse a maiore o a minore.
Comemusica suscitava la sfida di trovare il modo di combinare nelle trentatré sillabe le sette note, in parole compiute e non fruste. I corsari del 16 e 17 si giocavano con le rispettive bio provvidenziali. Per Cetta la sua prediletta parola Ordunque fu bagno di sangue, ché gli accenti non volevano sentirne di generare un ritmo lecito. Al 21 di Ketty un incidente diplomatico: scappa il verso forse più riuscito: «Quai sistri di sospiri e rari estri», ma arriva la vibrata protesta dell’Associazione Rotacisti Anonimi, che lamenta un abuso di erre politicamente scorretto. Ad Antonio Prenna chiedo la grazia di alleggerire i toni che s’eran fatti cupi ed estremi. Poi però tocca a Fanny, poetessa appassionata, che mi dà pensieri. Come stupirla? Infine Eusebio mi soccorre. Cupidigie e brividi, dell’amatissimo Camillo Sbarbaro montaliano, era abbrivio idoneo per un climax culminante ne l’abènto sublime tolto dalla Rosa fresca e aulentissima di Cielo d’Alcamo. Ma il risultato rompeva l’ABA canonico per un ABB eterodosso, ne valeva la pena? Mi son mandato a quel paese ed ho tirato dritto, alla volta di Clara, ma qui bisognava solo appendere le lucciole nel quadro. L’ultima terzina non reca numero perché era stata concepita per un mio corsaro immaginario. Ossia, mi ero convinto d’averne letto il nome nell’elenco dei corsari, scoprendo la fallacia a cose fatte. Un blog di parerga combina errori e sparge inezie, sicché è doveroso pubblicarla, proteggendone l’anonimato, si capisce.
I corsari non interzati, son certo che saranno lieti d’essere sfuggiti alle mie indegne rime, non s’illudano tuttavia di godere d’una mia minore stima, anzi si sappia che li ho risparmiati solo perché il tempo mi è mancato.

La numerazione delle terzine segue quella degli articoli del testo di Pasolini

Le ceneri corsare


1 Alla maniera petrarchesca Purpurea.
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
Che ‘n mille dolci nodi gli avvolgea,
ma tosto fur di cenere cosparsi.

1 Atra maniera bernesca
Chiome corvine e fluenti, irte e attorte
senz’arte intorno a un bel viso d’oro;
vi si celavan sol menti contorte.

2
Casta Luna che inargenti l’onde,
La corsa porti falene e bottino,
Storie e mistero e parole profonde.

3
Blu trasparente sia l’onda fremente,
Corra ‘l tuo legno l’incognita rotta,
Nella carezza dell’Orsa splendente.

4
Claudia fa rotta ardua e perigliosa:
Sprezza ogni tema e fida nei tuoi lumi,
Guida la ciurma a meta vittoriosa.

7
Salpa Francesca per lido corsaro,
Sa lei dell'onde l'azzurro mistero,
Sa delle stelle il segreto più raro.

12
Passata è la tempesta
Ledyrediviva è ancor desta
e pur noi per farle festa.

14
ExLibris va per mar in gran pavese,
Quale corsar sagace e coraggioso:
Reggi nostr'alme vaghe e pur sospese.

15
Per Comemusica l'onde son note:
"Là Si DoMi quel flutto ch'è deriva,
Sol FaRe rotta s'ha per sponde ignote"

16
Va di bolina per carezzar le onde
Corsar che dell’onor ebbe l’insegna.
Faremo rotte vaghe et errabonde?

17
Con Ale solcherem acque dolenti
Per l’odio vile e pur lordo di sangue
Ma Todo cambia coi veloci venti

19
Ordunque s'alzi di Cetta la vela
Folgore, zolfo e tempesta l'attende
Mare bollente da araba tela

19 Pentiti, donna, pentiti!
Quant'è bella gravidezza,
Che ti spetta tuttavia!
Chi vuol esser lieta, sia:
Del coir non v'è certezza.

20
Si librano sull’onde di parole,
Ché mar del Sacer han da navigare,
Tesa la randa, rotta verso 'l sole.

21
Son quei di Ketty gli alberi maestri,
Ch'ai venti ruban melodiose note,
Quai sistri di sospiri e rari estri.

22
Sol una prece fo ad Antonio Prenna,
Ch'è uomo chiaro e con uso di mondo:
Ventila d'ironia questa Geenna

23
Oh Fanny che del mar l’anima ascolti:
Brividi e cupidigie siano vento
E turbine et uragan fin all’abènto.

24
Or Clara regge l’ultima impresa
Ma tra i perigli notturni e corsari
Lucciole giocan nell’aria sospesa.


Marina sa del mar segni e misteri,
Il respiro del vento nelle vene
E saggi e rari miraggi per nocchieri.