mercoledì 28 ottobre 2020

Virus abundat in ore stultorum

 

Le Désespéré, Gustave Courbet












Nove paradossi pandemici e un lapalissiano sospetto


I

Dottoressa, se il libero fiato sputacchiante e impestato degli eroici arditi smascherinati non mi garba, sono sociopatico?


II

I contagi si moltiplicano negli assembramenti.

Gli assembramenti sono frequenti di giorno.

Dunque per ridurre i contagi vieto gli assembramenti di notte?


III

Se tutto ha un prezzo, di grazia, il sacro nutrimento cineteatrale, la veneranda preminenza della scuola, il sommo bene della ristorazione, l'inconcusso diritto all'alticcia socialità tracannante, la sacrosanta insonnia celebrata in affollati e sfibranti convegni di tiratardi, ecco, esattamente cadauno quante salme valgono?


IV

Ciascuno decide per sé, ma poi la colpa è degli altri?


V

Dubbio di virologi, infettivologi, pneumologi ed altri scienziati della società dello spettacolo:

Covid, ergo sum?


VI

Se piove, posso incolpare gli ombrelli?


VII

Sanità, trasporti, scuola e pubblica amministrazione fanno talmente schifo da offrire ampia prova della verità inconfutabile del principio etico che ha ispirato la mia ferma determinazione di non pagare le tasse nemmeno per sbaglio?


VIII

A New York fosse comuni, a Parigi portano in processione la Marianna, manco Odino salva Berlino, ma solo gli italiani sono imprevidenti, stolti e imbecilli?


IX

Chiudere tutto, presto, anzi prima e di più, ma nulla basta se a farlo sei tu?


X

La scienza aborre le grossolane certezze indebitamente invocate dall'insipiente ipocondria delle masse plebee, allarmate per il loro trascurabile destino; la scienza, di contro, procede per progressive conoscenze sempre falsificabili, fondate sulla solida roccia del metodo sperimentale, e adesso però prendi subito le gocce: mens sana in corpore xanax.



venerdì 23 ottobre 2020

Allegretto

 

Proserpine - 1874, Dante G. Rossetti




















Non avrei voluto dirti

la vana dismisura,

che pur nelle soste svela

l’avido furore dell’istante,

diastole che nasconde

l’essenza nostra oscura,

forse atomo di niente.

 

Mai cessa la caduta,

esita talora nell’inciampo,

ma torna poi ancora a rovinare

fino allo schianto:

assurda ebbrezza del precipitare,

fuggiasco grave scosso,

d’oblio bendato e pur di pianto.

 

Echi di rantoli e vagiti

nel seme che germoglia

assetato di luce e d’altra vita

apre ferite alla più dura roccia,

ma un refolo randagio

lo strappa e corre via,

distratto e indifferente.

 

Non dirmi più d’albe imminenti

né altra folle fola umana,

la strada inquieta cenna tra il fogliame

alla fanciulla con la melagrana,

giù la pozzanghera le trame

barbaglia di chi passa e chi è passato

e di chi ormai non passa più.

...

A pochi soldi darei via

quest’Allegretto di tormento

che come fatua allegoria

scava nel nostro sperdimento;

preferirei giocare a dadi

l’appassionata 9 marzo

nell’allegria di un’osteria.

giovedì 30 aprile 2020

Conto su di te

Alighiero Boetti, Da uno a dieci, 1984




























C'era una volta Primo Levi che al bar intrecciava rebus con Segundo Compay e Tiziano Terzani che ogni tanto cantava sulle note del violino di Massimo Quarta, da fuori però giungevano le urla di Quentin Tarantino che girava un film su Quintino Sella con soggetto di Sesto Empirico, ambientato a Palermo in via Ruggero Settimo, costumi di Ottavio Missoni e sceneggiatura di Aldo Nove.
E nondimeno, tutto sommato, non vi furono rancorose divisioni, né, del resto, turgide moltiplicazioni, bensì qualche lieve sottrazione e solo propizie e mirabili addizioni.
A conti fatti.







mercoledì 5 febbraio 2020

I fiori di Leibniz

Ph. Alexander Petrosyan


















In un tempo in cui Twitter non era ancora una barbara prateria di furiose mandrie contrapposte in fazioni stivalute e mascellute, di inani narcisismi postribolari e miasmi maleodoranti di maramaldi maleadoranti, nonché di balcanizzati ovili dell’algoritmo prezzolato, bestiali camorre mistificanti e garrule plebi grulle, capitava di scoprire, giocando, persone meravigliose che celatissime nella riservatezza di un nom de plume, generosamente condividevano il loro molteplice e variopinto ingegno.
In particolare, un nom de plume floreale e scespiriano, per vastità di conoscenze e sfolgorante acutezza d'intelletto, suscitava, circa la sua primaria identità, un rovello discreto, mai trasceso in volgare curiosità, e nondimeno pertinace e affascinante come uno splendido enigma. Poi un giorno, or sono tre anni, mi illusi di essere venuto a capo del mistero, persuadendomi parimenti del dovere di tacerne senz’altro la soluzione, ma avvertendo tuttavia il personale obbligo di rendere un grato tributo alla bellezza dei fiori di Leibniz che segnando ardui sentieri, pur nelloscurità simile a fosca notte, possono ancora condurre a Damasco.

Misteriose e impervie sono le vie della conoscenza. E tali, una volta percorse, da fornire prove dolorose del nostro attonito e sciagurato ottundimento, che sovente preclude una retta comprensione del resto lampante.
Il primo marzo duemiladiciassette compitando I principi della filosofia o Monadologia, ossia, per i permalosi, Principia philosophiae more geometrico demonstrata di Gottfried Wilhelm Leibniz, sul punto di rimeditare la fondamentale tesi numero nove, ove è formulato il principio dell’identità degli indiscernibili, un lampo fiorisce improvviso sulle celeberrime parole del grande filosofo tedesco: «Bisogna ammettere che ogni monade sia differente da ogni altra. In natura, infatti, non vi sono mai due esseri che siano perfettamente l’uno come l’altro e nei quali non sia possibile trovare una differenza interna o fondata su una denominazione intrinseca.» Ergo due enti identici sono, in realtà, un solo ente. Ne discende che due persone caratterizzate dalla medesima genialità, sono in realtà la stessa persona geniale. Certo, qualcuno potrebbe eccepire che Leibniz non c’entri nulla, derubricando la mia scoperta all’uso grossolano di paradigmi indiziari da Sherlock Holmes a Dupin, concedendo i più generosi piuttosto un’inferenza abduttiva peirceana, ovvero i più malevoli un triviale colpo - come dire? - deretaneo. Può darsi. E tuttavia posso testimoniare senza tema di smentita, con assoluta certezza oggettiva e psicologica, e al di là di ogni controversia logica e ontologica, che la scoperta de qua è stata indotta dalle citate parole della Legge di Leibniz, al quale devo ora gratitudine sconfinata per avermi svelato un enigma bellissimo. Raggiunta codesta fanciullesca gioia per la quale ho piroettato felice per ore nel nirvana pneumatico dei solutori d’enigmi, verso la persona che ha ordito un così brillante inganno è ancor più cresciuta l’ammirazione, poiché moltiplicandosi grazie al suo multiforme ingegno, mi ha concesso il privilegio d’amarla due volte, a sua insaputa, si capisce. Tale ammirazione, del resto, mi obbliga all’osservanza di un silenzio pitagorico nel quale riporre gelosamente la mia felice scoperta, sul fondamento di un altro essenziale principio leibniziano, quello di ragion sufficiente, ossia nihil est sine ratione: se una identità, ancorché gemellare e immaginaria, pur tuttavia esiste, essa avrà una sua ragion sufficiente e come tale merita ogni cura di riservatezza premurosa e complice, al pari dell’identità primaria.
Se per contro, essa scoperta fosse un sogno arbitrario e infondato, potrei in ogni caso imputarne la cagione alle fumisterie della metafisica di Leibniz, tanto affascinante quanto ingannevole e fallace. Forse.






mercoledì 15 gennaio 2020

Come è profondo il male. Esercizi

Ph. Josef Sudek





















Sopore di male
1
Sorge il sole canta il gallo
son ganassa in piedistallo.
Chiudo i porti e do bacioni
ma alla vista d’una toga
mi si seccano i c.

2
Ancor li offende l’elemosiniere
che va in soccorso d’un dolente ostello
a quei ch’adoran fascio e manganello
e al posto della faccia han lo sfintere

3
Brandir rosari con la man protesa
e abbandonare in mare gli innocenti,
è la ragione agli inferi discesa;

l’errore d’un reame d’insipienti
che dalle vene dell’altrui dolore
succhia le proprie verità dementi.

E dopo i lager ancor lo stesso orrore:
sterminio criminale dei fratelli
tanfo di morte e stramazzar d’uccelli

4
Nel ciel alberga inver tanta malizia
se dopo trump ed i fasci nostrani
diventa pure capo dei britanni
un gran pallon gonfiato di stoltizia


Lorenzi il magnifico
Quant'è bulla giovinezza
che mi strugge tuttavia
chi vuol esser lieto sia
nel Piddì non c'è vivezza.

Lo Granduca alla Leopolda
vuol la sua comunità
ch'incoroni in proprietà
la sua foia manigolda.

Non c'è inganno non c'è trucco
solo un cambio di parrucco:
il ruggito di un giaguaro
nel delirio di un somaro.


Cera una volta Gwyneth
La candela costa un botto
Ma il profumo dà alla testa
Di geranio e bergamotto
Ambra e cedro quanto basta
Rosa rossa damascena
D’infiammata selva oscena


Anagrammi
Attilio Bertolucci = Liuti col cerbiatto
Remo Bodei = Rombo idee, (ma forse) Ombre o dei
Sergio Mattarella = Morigerata stella
Pietro Bartolo = Porto liberato

***

Tautogramma a Luca Padovano
(Aspettando che Luca torni a raccontarci tutte le storie che sta sognando)

Oh Luca (a tutti caro) di lucciole e lotte e lepidi lazzi
al losco leviatano laido,
lascia la lucina che lampeggia lenta,
leva la “lucerna licenziosa” di lettere lievi, lasagne e libertà.