lunedì 10 maggio 2021

Del pessimismo comico

 

Ph. Mario Giacomelli
























Quale indizio fa presumere al ciurmatore pessimista cosmico che l’altrui uzzolo incandescente sia l’ascolto delle sue lamentazioni sulle luttuose sorti e progressive? Sicché non sarebbe abbondevole l'incessante cimento quotidiano con guai sguaiati, faccende sfibranti, noie nefande, malattie covate e covanti, disgrazie a cavallette, maschi con la testa sulle palle e femmine astiosissime, vecchi rincitrulliti, fantolini sciagurati ed altri calamitosi cretini che alla guida di affollati greggi d’imbecilli rancorosi, dilacerano le molli nostre carni pendule, già dimentiche d’ogni loro propria primitiva funzione, solamente rassegnate oramai a dar misura manometrica di assortiti disgusti?

Ancora serve una supplementare sapienza apocalittica che fa la punta alla mentola della vanità del tutto? Vaticinando da ogni evento il presagio perverso, precursore d'un ineluttabile abisso ulteriore? Non ci bastava, dunque, la reale copiosissima melma scatologica da tempo alzatasi fino alle rotule di taluni, tacendo d'altri ai quali ha superato di slancio il bellìco, minacciando di tracimare irresistibilmente verso la pappagorgia?

E si capirebbe tanta facondia maligna, solo se fosse lecito credere che, al basso continuo dell’orrenda realtà presente, piace agli dèi l’aggiunta di un arpeggio profetico d’arabescati incubi e stragi imminenti, in armonia con le prossime sventure inevitabili, onde seminare altro panico sulla terra desolata della comune coscienza infelice, dove non cresce più l’erba già da lunga pezza.

Eppure, da che il mondo è mondo, al sofferente si porge conforto, consolazione si presta all’afflitto, e solo un cialtrone smisuratamente feroce verserebbe fiele in gola all’avvelenato e sale sulle piaghe infette del ferito. E non di meno, codesti oracoli della malasuerte garriscono garruli, con cocciutaggine somara, sversando sinistre logorree ulteriori. Ma vivaddio, nulla ci è risparmiato del male del mondo, perché non tacere ominose retoriche additive? Del resto inani?

I profetici apostoli del male a futura memoria, sebbene illuminati, infatti, sembrano ignorare un celebre paradosso che lo spettinato Stanisław Jerzy Lec celò in un aforisma: «L’eterno sogno del boia: i complimenti del condannato per la qualità dell’esecuzione».

La palese inutilità dei loro sforzi, persuaderà i ciarlieri predicatori, cantastrofisti della iella incombente, a deporre la loro acribia molestissima? Ne dubitiamo.

Ci piace perciò ricordare il Frate Altiero che ogni santa sera, per tutto il convento, sulla soglia delle loro celle, aveva confortato i confratelli con un compassionevole: «memento mori». Ebbene un giorno, molto infausto si capisce, Frate Altiero, proprio lui, volò tra le braccia del Signore. Un terribile temporale si scatenò subito dopo la sua cristiana sepoltura, come se financo il cielo fosse furiosamente partecipe dell’unanime cordoglio. Quando tornò il sereno, tutti i confratelli dolenti che si recarono in corteo sulla tomba di Frate Altiero, constatarono con sollievo che la pioggia aveva offeso solo con lievi danni il fresco tumulo di terra, ma ahimè nella lapide erano cancellate del tutto  alcune lettere del caro nome dell’estinto, in particolare, più non si leggevano la prima lettera, la seconda e la settima, mentre della sesta restava appena un baffo, tanto da parere inopinatamente un accento, ossia «  tie' ». Quel che restava del nome destò una interrogativa afflizione nei fraticelli, che perciò si ripromisero di porvi rimedio al più presto. Lungo il sentiero che riconduceva il mesto corteo in convento, il silenzio, qua e là, fu increspato da gutturali e soffocati suoni, appena somiglianti a sorrisi, ma forse erano solo i versi degli uccelli che passavano da lì. Forse.