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Palamede di Antonio Canova |
In
riva al Simeto, sul finire dell’estate, in attesa della sera, immerso
nell’incantevole trionfo della natura che già disponeva la tavolozza dei colori del cielo e della terra per l'imminente occaso, Querty Uiopè meditava pensieri inquieti circa un recente
spettacolo di Alessandro Baricco su Palamede. All’ombra di un platano frondoso
egli intanto ammirava il lontano Mongibello, poderoso e fumante, e il vicino
fiume impetuoso d’acque
turchine, altro che quel rigagnolo dell’Ilisso, senza offesa per Fedro, si capisce. Tra gli agnocasti
fioriti che profumavano fino allo stordimento, Querty Uiopè ancor gustava un
sigaro squisito – arrotolato senz’altro da abilissime mani di lascive
sigaraie creole – quando scorse un uomo in età, di rosso
vestito, che passeggiava altero lungo il sentiero che veniva a interrompersi
proprio nella radura presso il platano sotto il quale egli oziava. Sorse d’impeto, Qwerty, e si precipitò trafelato
sul vegliardo a passeggio.
Qwerty Uiopè – O Gorgia, carissimo maestro, che fortuna incontrarla, mi
dica, ha saputo del Palamede di
Baricco?
Gorgia – Carissimo a chi! Non ho il piacere di conoscerla, né tampoco il
minimo desiderio. Non mi par di rammentare alcuna sua discepolanza. Del resto,
se fosse stato mio allievo, mai avrebbe osato una siffatta consuetudine al mio
cospetto. Or dunque, immantinente, mi risparmi le sue moleste proposte e
circoli via, aria, sparisca, raus.
Qwerty Uiopè – Via maestro non s’adiri, lungi da me qualunque insolente
confidenza. Nutro un profondo rispetto per il suo chiarissimo e smisurato
ingegno. Desideravo solo conoscere la sua alta opinione sul Palamede di Baricco.
Gorgia – Opinione? Ma come si permette, miserabile barbaro farfugliante!
Gorgia non esprime opinioni. Qualunque mio pensiero è sapienza veridica
inconfutabile, immarcescibile, adamantina saggezza dianoetica. E ora smammi
prima di subito, torni nelle spelonche, brutto troglodita escrementizio.
Qwerty Uiopè – Maestro, si calmi, la prego. Dicevo opinione, ma
intendevo giudizio, saggia valutazione.
Gorgia – Dunque, lei dice in un modo e pensa in un altro? Presto, mi
liberi della sua confusa e pestifera presenza, si disperda nel vuoto, corra via
e via e via e non si fermi prima d’aver percorso la distanza di Filippide, e
una volta giunto presso i suoi simili, tra inospitali grotte infestate di finocchi selvatici,
proclami alla stregua dell’ateniese: «Abbiamo minto» fuor dal pitale, nevvero.
Sparisca!
Qwerty Uiopè – Maestro, suvvia, anzi sommo maestro, mi conceda la sua
attenzione, un po’ del suo tempo.
Gorgia – Eh eh... il tempo è denaro, benché temo le sfugga ancora il
significato della parola denaro, piccolo barbaro ancor dedito al baratto.
Qwerty Uiopè – Suvvia un po’ del suo tempo...
Gorgia – Cento mine. Cacci cento sonanti mine e avrà la mia attenzione
per il tempo di una clessidra.
Qwerty Uiopè – Fanno mille euro?
Gorgia – Oh no, dollari, solo dollari, per l’esattezza milleduecento e
settantatre centesimi, ma tenga pure il resto, gli spiccioli mi
danno ai nervi.
Qwerty
Uiopè – ...millecentosettanta, millecentottanta, millecentonovanta e milleduecento,
ecco fatto.
Gorgia – Tutte banconote di piccolo taglio... forse commercia al minuto
stupefacenti sostanze? Oh caro il mio Qwerty Uiopè, si celia. Ora può
interrogarmi senza indugio su qualunque argomento, le darò la risposta più
saggia e sapiente.
Qwerty Uiopè – Maestro sommo, ora ci provo, il tempo di liberarmi da
questa strana sensazione di leggerezza, che mi coglie d’improvviso.
Gorgia – Oh la capisco. Si sente come alleggerito della somma ignominia d’avermi
incontrato con tanto ritardo, ma del resto eccitato per l'apprendimento fondamentale
che trarrà dalle mie lezioni indimenticabili, grazie alle quali potrà diventare
un perito oratore, pronto ad espugnare ogni assemblea.
Qwerty Uiopè – Beh sì e no. Sa, non amo tanto la folla, amo solo una
donna, Inés Itrè, una poetessa maltusiana, assai virtuosa bensì ma molto
irascibile perché prende tutto di petto, ciò che la rende assai vendicativa,
sicché ogni tanto per gelosia mi tradisce con Manfredi, un poetastro inetto,
un cicisbeo senz’altro, ma astuto e ruffianissimo, peste lo colga.
Gorgia – Eh, discepolo diletto, le fanciulle profumano di rose solo pria
di divenire spose. Stia lontano dalle donne ond’evitar in fronte alte colonne
...appuntite, ahahahahah!
Qwerty Uiopè – Suvvia maestro, non esageri con codeste triti e sciocche
ciance. Non rinuncerei a Inés Itrè, ed alle altre fanciulle, beh sì lo ammetto,
per tutto l’oro del mondo. Ma torniamo al Palamede
di Baricco.
Gorgia – E che vorrà sapere di Palamede? Quel mio celebre discorso è il
vertice assoluto della retorica e della sofistica d’ogni tempo. L’esercizio
sommo dell’arte dialettica. Ancora li vedo i più illustri degli ateniesi, Socrate, Agatone, Alcibiade, Tucidide e tanti altri uomini di gran fama, con
gli occhi sbarrati e le orecchie tese mentre lo ascoltavano per la prima volta.
Mai mortale aveva argomentato meglio, con più stringente logica, con catene
d’argomenti d’incontrovertibile valore probatorio. E con quale stile fiorito,
come meglio non avrebbe potuto un vero poeta. Fu un trionfo memorabile. E per
non far mancare nulla alla mia perfida sfida, tenni quel leggendario discorso contro
Ulisse, l’astuto eroe che tutti gli elleni amavano sopra ogni altro eroe.
Qwerty Uiopè – Già con l’Encomio
di Elena s’era divertito non poco, maestro, lo ammetta.
Gorgia – E come no! Sì, certo, Elena, colei che nell’opinione d’ogni
greco era la buttanazza da additare quale causa d’ogni infamia e sciagura, da me infine redenta, e ora tornata pura sì come un angelo incolpevole, una mammoletta ingiustamente oltraggiata.
Che gusto c’è, del resto, nel facile trionfo? Le uniche battaglie degne d’esser
combattute son solo quelle più ardue, contro il più valente dei nemici e sul
terreno a lui più propizio. Sol così rifulge il più alto valore. Sarebbe stato
degno di memoria, forse, se avessi celebrato una qualunque donna già amata dal mio uditorio? Per segnare indelebilmente il mio nome nella mente dei mie
ascoltatori, dovevo riuscir nell’impresa di confutare quanto di più sacro v’era
nelle loro idee, vincendo, con la semplice parola, ogni più strenua resistenza radicata
nella loro tradizione più tenace e veneranda.
Qwerty Uiopè – Caro maestro, non vorrei contraddirla, però è ben vero che Elena era da tutti additata come una signora di facili costumi,
ricettacolo d'ogni nequizia morale e perenne minaccia del focolare, ma del
resto tutti i greci segretamente l’amavano, sprecandosi in complimenti
sperticati sulla sua bellezza.
Gorgia – Oh io lo sapevo bene, conosco l’animo umano. Ma loro no. Così
li ho inchiodati a dover riconoscere nella pubblica piazza ciò che prima non
sarebbero mai stati disposti ad ammettere.
Qwerty Uiopè – Per Palamede questo celato vantaggio non c’era. Certo non
erano mancate le voci di poeti in sua difesa, ma poca roba.
Gorgia – E come no? Nessun greco si sarebbe mai schierato in suo favore
e contro Ulisse, il loro mito indiscusso, prima della mia Apologia di Palamede.
Qwerty Uiopè – Che ardimento, maestro.
Gorgia – Ebbene sì. E
sapevo che non sarebbe bastata un’eloquenza solo sublime di facondia pur
straordinaria. Eh no! Serviva altro. Serviva un’argomentazione razionale
inconfutabile, un metodo nuovo, una tecnica dialettica di nessi incatenati in
modo ferreo. Così ho inventato l'apagòge. Un delirio logico mirabile che
riduceva il contraddittore in sembianze ridicole, travolto da paradossi
asfissianti. Sappia che perfino quel culo di pietra di Aristotele, si capisce
senza citarmi per invidia, ha dovuto catalogare siffatta invenzione nei Primi Analitici e non certo nelle Confutazioni Sofistiche.
Qwerty Uiopè – Cattivi rapporti accademici?
Gorgia – Oh certo, erano tutti invidiosi della mia intelligenza e del
mio clamoroso successo, non meno che della mia immensa ricchezza. Ogni sera sedevo
al magnifico desco di Gualtiero Marchesi, degustando Risotto Oro e
Zafferano o Dripping di Pesce ed
altre fantasmagoriche prelibatezze, mentre loro per andare da Cracco una volta ogni morte di papa, d’ordinario
mangiavano fave bollite e olive secche da olio lampante. Poveracci. Quello
sporco comunista di Platone poi, mi odiava. Che uomo! Disposto a compromettersi
con i peggiori tiranni, perfino i siracusani, miei turpi vicini, pur di
assicurarsi una gloria che con le sue opere non riusciva a cogliere.
Qwerty Uiopè – Maestro, non dica così. Platone è il padre di tutti noi...
Gorgia – E allora siete tutti figli di madre ignota, ah ah ah ah!
Qwerty Uiopè – Ma maestro, non scherzi, Platone è il più noto e studiato
dei filosofi.
Gorgia – Non me ne può calere una mazza. Forse che la mera fama dimostri
un qualche valore? Un tale musico, Gigi D’Alessio, mi dicono che sia amatissimo
e popolarissimo, ma qualcuno può forse credere che la sua opera omnia valga
tre note del grandissimo Claudio Monteverdi?
Qwerty Uiopè – Ma del Palamede
di Baricco che mi dice, infine.
Gorgia – Ma chi è questo Baricco? E che c’entra con Palamede.
Qwerty Uiopè – Suvvia, maestro, Baricco è un celeberrimo scrittore e
tante altre cose, un uomo di gran fascino, sa raccontare storie come pochi, e
recentemente ha realizzato uno spettacolo davvero molto bello su Palamede,
usando con gran dovizia e arte la sua Apologia.
Gorgia – Dice davvero? E i miei diritti d’autore?
Qwerty Uiopè – Prescritti.
Gorgia – Ma almeno costui ha esposto a cubitali caratteri il mio nome?
Qwerty Uiopè – Beh, non proprio, ma il suo nome è nei titoli di coda.
Gorgia – Nei titoli di coda? O santo il vulcano che di lava lo
sommergerà, riducendolo in nera cenere dove mingeranno grufolanti i più laidi
cinghiali dei Nebrodi, così da destare il disgusto dei passanti inorriditi per
gli intollerabili miasmi. Che gente! Che gente di bronzeo sembiante! Ma chi
avrà potuto credere che quello straordinario argomentare sia farina del suo
dozzinale sacco di grezza telaccia?
Qwerty Uiopè – Maestro non dica così, lo spettacolo è davvero ben
riuscito. E le sue immortali parole vi splendono come lame affilate. Lo prenda
come un tacito tributo al suo ingegno sublime.
Gorgia – Ma chi, in questo puerile inganno, è potuto cadere? Bruti e
sprovveduti e altri imbecilli ottusi?
Qwerty Uiopè – E quando mai, maestro? Adesso non si contraddica. Prima e
meglio di chiunque altro, con una massima divenuta proverbiale, lei stesso ha
proclamato che a teatro è più saggio chi si lascia ingannare.
Gorgia – E sia, lo concedo. Nondimanco, mi sfugge l’uso ch’egli ha
potuto fare del mio Palamede. Forse che Gorgia è un Erodoto qualunque? Nessuna minuta notizia reca la mia opera immortale, o fatti o detti o accadimenti di
quel disgraziato eroe. Gorgia è inesauribile fonte di sapienza e non già fonte
di storie del cazzo.
Qwerty Uiopè – Eppure, sapesse che figurone fanno quelle sue parole e
quei suoi argomenti. Ulisse ridotto ad un sicofante qualsiasi e la schierata
aristocrazia omerica umiliata a prestar fede ad una ripugnante menzogna che prostituiva
la giustizia ad una atroce vendetta.
Gorgia – Oh non mi sorprende, l’Apologia
è una macchina dialettica perfetta. Quanto mi sono divertito a scriverla e poi
a cantargliela. Un trastullo immenso. Ma di essa nella memoria dei mortali
sopravvivere doveva quel che in essenza contava, ossia la forma, la struttura,
il metodo. Il contenuto era irrilevante e parimenti la vicenda di Palamede, del
quale nulla sapevo più di quanto si raccontava nei simposi e nei teatri.
Qwerty Uiopè – Quel poco oggi è tanto, tuttavia, o almeno è qualcosa.
Gorgia – Ora m’avvedo che nella clessidra gli ultimi granelli del cono
superiore si precipitano verso il riposo del sottostante cumulo. Il tempo è
finito, caro mio. Mi cerchi ancora, la incontrerò volentieri, previo compenso,
si capisce. Lei è un promettente discepolo. Ma se vuole vivere cent'anni come
me, lasci perdere le donne. Salvo Elena. Ristudi con più sagacia l’Encomio. Rilegga le ultime parole e
mediti. Mediti. Mediti.
Qwerty
Uiopè – «Elénes men enkòmion, emòn dé paìgnion», maestro le so a memoria... e dunque?
Gorgia – Eh eh fuoco-fuoco... divampante fuoco... emòn dé paìgnion,
per l’appunto, ah ah ah ah. Addio.
La meditazione di Qwerty Uiopè durò a lungo senza
conseguire esito alcuno, finché egli non giunse a leggere, per caso, un bel
saggio dal titolo «Il logos è un potente signore» di Ugo Volli che, celato in
una nota a piè di pagina, recava lo svelamento delle misteriose allusioni di
Gorgia. Ne riporto in calce il testo provvidenziale, a beneficio dei tre
lettori, e a futura memoria della corriva insipienza di... Qwerty Uiopè.
«[«Elénes
men enkòmion, emòn dé paìgnion», «per Elena encomio, per me gioco
dialettico»] così traduce Giannantoni; Moreschini
(nella sua edizione dei Frammenti di
Gorgia, Boringhieri, Torino, 1959) più bruscamente suggerisce «elogio di Elena e passatempo per me».
Nella traduzione inglese di Brian Donovan e quasi sempre in inglese “plaything”, “gioco” o “giocattolo”. La
parola usata è paignion, termine che
sarà usato dai neoteroi e da Callimaco per indicare il puro esercizio
letterario (cfr. R. Hunter, The
reputation of Callimacus in D. Obbink e R. Ruthford, Culture in pieces,
Oxford University Press, Oxford 2011) – ma sarebbe probabilmente improprio
antedatare quest’uso al V secolo. Per una discussione sull’uso di Gorgia, cfr.
D. Boyarin, Socrates and the fat rabbis,
University of Chicago Press, Chicago 200, p. 99. Dal punto di vista
dizionariale, la parola viene definita “trastullo, sollazzo, giocattolo,
balocco, gioco, passatempo” ma anche “scherzo”, come conferma il legame col
verbo paizo, che significa
fondamentalmente sia giocare che prendersi gioco. cfr. L. Rocci, Vocabolario
greco–italiano, Società editrice Dante Alighieri, Milano 1967 ad loc. In un
brano delle Leggi (797b) Platone usa paignon
(tradotto in genere qui come “gioco”) come un genere di paidia (tradotto spesso come "divertimento"); è
interessante notare come Platone nel Fedro e Gorgia qui mettano entrambi in
relazione la scrittura l’uno con paidia,
l’altro con paignon: accostamento
certamente casuale, ma rivelativo.»