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Proserpine - 1874, Dante G. Rossetti |
Non avrei voluto dirti
la vana dismisura,
che pur nelle soste svela
l’avido furore dell’istante,
diastole che nasconde
l’essenza nostra oscura,
forse atomo di niente.
Mai cessa la caduta,
esita talora nell’inciampo,
ma torna poi ancora a rovinare
fino allo schianto:
assurda ebbrezza del precipitare,
fuggiasco grave scosso,
d’oblio bendato e pur di pianto.
Echi di rantoli e vagiti
nel seme che germoglia
assetato di luce e d’altra vita
apre ferite alla più dura roccia,
ma un refolo randagio
lo strappa e corre via,
distratto e indifferente.
Non dirmi più d’albe imminenti
né altra folle fola umana,
la strada inquieta cenna tra il fogliame
alla fanciulla con la melagrana,
giù la pozzanghera le trame
barbaglia di chi passa e chi è passato
e di chi ormai non passa più.
...
A pochi soldi darei via
quest’Allegretto
di tormento
che come fatua allegoria
scava nel nostro sperdimento;
preferirei giocare a dadi
l’appassionata 9
marzo
nell’allegria di un’osteria.
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