Ferraglia e bachelite disanimate, a germirle lasciano
la mano attaccaticcia, ancorché l’artiglio di un freddo fiato talvolta ne
sprigioni, dischiudendo all’attesa il deserto insostenibile dell’evidenza.
«Dimmi, dimmi ancora dei tuoi falsi amici irlandesi», ma che cosa resta da dire
quando la fragranza di un respiro dilegua.
Giornata inutile. Sveglia colazione lavoro casa
tivvù. Poi quella voce di miele di fiele.
«Signore buonasera, lei non mi conosce, ma la prego,
non riattacchi, non le voglio vendere enciclopedie, beh sì qualcosa vendo, ma
non enciclopedie. Allora si chiederà che cosa. Mi creda, qualcosa di davvero speciale,
sa? sono alta e magra, bruna e molto attraente. Ho ventottanni, le ciglia
spesse e le labbra folte, sì insomma al contrario.»
«Guardi ha sbagliato numero, la prego mi lasci in
pace, stavo leggendo, ecco, le do la buonanotte e un buon consiglio: al
prossimo cliente dica pure di essere una studentessa, è una trovata
formidabile.»
«Ah stava leggendo? Che bello. Che cosa?»
«Le operette morali... contenta? Buonanotte.»
«No, non riattacchi, ho bisogno di soldi e se
m’impegno sono molto brava a letto.»
«Ma via la pianti, di soldi tutti abbiamo bisogno.
Senta non sono interessato. Punto e basta.»
«La prego mi lasci venire a casa sua, che ci guadagna
a restare solo soletto. Io sono carina, la farò divertire. Per sole trecento
euro. Perché vuol fare il passero solitario e morire di noia? Tanto lo so che
non ha nient’altro da fare.»
Ragioniamo. Vendita aggressiva, ma non professionale.
Impertinente, ma il tono non è da imbonitrice esperta. D’altronde trecentomila
sono appena il guadagno per una lavatrice. Eppoi, in effetti, che noia dopo una
giornataccia di frigoriferi e telefonini, aspirapolveri e televisori, bolle
fatture sconti e clienti. Magari. Chissà, forse non è sfatta dal mestiere.
«Senta signorina...»
«Candi, mi chiamo Candi.»
«Che coincidenza. Senta, non ho capito bene, ma
quanti anni ha?»
«In che senso coincidenza? Beh sì, non proprio
ventotto, quasi ventiquattro. Sì, veramente mi chiamo Candida ma è lunghissimo
e così tutti mi chiamano Candi, le piace?»
«Immensamente: originale e fresco di bucato.»
«A settembre sono stata in Irlanda. E lì nessun
compagno di classe voleva credere che Candida fosse il mio vero nome. E tutti a
chiamarmi Kandy di qua e Kendy di là, con naturalezza e senza burlarmi
minimamente. Qui, invece, che tormento. “Lava-trice, lava-trice, lava-trice”:
così mi hanno abbaiato dietro per tutti gli anni del liceo.»
Dietro la porta un viluppo di effluvi incoerenti e un
respiro corto e faticoso che abitava un’attesa impervia e come sospesa nella
vertigine dei fili cedevoli d’una ragnatela. Poi la levità di un ingresso
studiato e fiorito di sorrisi ammiccanti e teneri, fuggitivi e ingenui,
ghirlande perplesse di una disponibilità solo ostentata e inverosimile. Ma sei
una bambina o una donna?
«Si capisce, gli irlandesi sono educati e mitissimi,
ma forse dipende anche dalla lingua e dagli elettrodomestici.»
«Sì, però, comunque sia, per me lì è stato bello.
Via, mi lasci venire a casa sua. Duecentocinquanta? Vede, non chiedo molto.»
«Signorina...»
«Candi, mi chiamo Candi.»
«Sì va bene Candi, ma le pare modo? Sceglie un numero
a caso, chiama nel cuore della notte e mi racconta un bel po’ di frottole per
condire la proposta del servizio a domicilio. Ma che cosa le passa per la
testa? Perché poi io e non un altro?»
«No, mi scusi, mi ascolti: non l’ho affatto chiamata
a caso.»
«Ah no? Gliel’ha detto qualcuno? Ma no! Che sciocco!
Come non capirlo! Ha trovato il mio numero sulle Pagine Gialle alla voce Satiri
Pigri.»
«No, mi creda, niente di tutto questo. Ho scelto
proprio lei perché si chiama Nirvano.»
Pochi fremiti diruparono dal suo seno acerbo, solo
una frigida tenerezza dilagava dai suoi occhi, che talora però si annuvolavano
in una proterva determinazione di vetro e di roccia. Non alitò mai né gioia, né
desiderio, né gemiti mentiti. Anzi. Mani inesperte. Gesti frettolosi. Mi chiese
presto di poter prendere un bagno. Passò del tempo. Poi altro tempo.
Aveva ancora fissa nello sguardo la stessa tenerezza
stupita e impenetrabile, mentre riposava nel gorgo dell’amnio scarlatto nutrito
dai suoi stessi palpiti. E due asole sdrucite nei fragili polsi stillavano
veloci nel lavacro d’improvviso divenuto feretro, brumoso e mesto.
«Sì, Nirvano è un nome bellissimo, invita a perdersi
e a naufragare in un istante.»
«Ma guarda un po’ che mi tocca sentire. Bene, venga
pure. Duecentocinquanta, però. E non un euro di più».
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