Tu che gran boria e vana gloria spandi,
Rustico abitator di gioghi alpestri,
Ruvido più de’ Satiri silvestri,
E di laurea centaurea t'inghirlandi
Né a piè spondei, trochei, piccioli o
grandi,
Né a favellare e a conversar t'addestri
E da zoticità non ti sequestri,
O tu che carmi da sentina scandi.
E t’affanni e ti scanni, angosci e sudi
Che non mangi e ti frangi e ti trucidi
E il tesor del cor d'Inés diffidi
E di tua vita il fil sottil recidi.
Tasto tosto perché mai t’illudi?
Se nasciamo e moriamo ignudi e crudi?
Sappia il lettore che Manfredi, per
sovrano disprezzo, non ha versato una stilla del suo alato inchiostro in questa
oltremodo cialtronesca e sconveniente controversia, sicché ha dettato codesto
sonetto usando solo versi tratti dai Leporeambi 26, 40 e 84 di Ludovico Leporeo
(1582-1655), gran poeta incline all'invettiva non meno che alle donne. Giusto
per sfizio egli ha aggiunto al centone, qui e lì, qualche baffo à la Duchamp.
Ludovico Leporeo, Leporeambi, Edizioni
Res, 1993
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