venerdì 23 ottobre 2020

Allegretto

 

Proserpine - 1874, Dante G. Rossetti




















Non avrei voluto dirti

la vana dismisura,

che pur nelle soste svela

l’avido furore dell’istante,

diastole che nasconde

l’essenza nostra oscura,

forse atomo di niente.

 

Mai cessa la caduta,

esita talora nell’inciampo,

ma torna poi ancora a rovinare

fino allo schianto:

assurda ebbrezza del precipitare,

fuggiasco grave scosso,

d’oblio bendato e pur di pianto.

 

Echi di rantoli e vagiti

nel seme che germoglia

assetato di luce e d’altra vita

apre ferite alla più dura roccia,

ma un refolo randagio

lo strappa e corre via,

distratto e indifferente.

 

Non dirmi più d’albe imminenti

né altra folle fola umana,

la strada inquieta cenna tra il fogliame

alla fanciulla con la melagrana,

giù la pozzanghera le trame

barbaglia di chi passa e chi è passato

e di chi ormai non passa più.

...

A pochi soldi darei via

quest’Allegretto di tormento

che come fatua allegoria

scava nel nostro sperdimento;

preferirei giocare a dadi

l’appassionata 9 marzo

nell’allegria di un’osteria.

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