Nel doppio paginone di Repubblica di domenica 28 aprile 2013, con profluvio
di box esplicativi, sotto il titolo “Il Twitter della porta accanto”, sostiene
Emilio Marrese che la roba di cui si occupa è “cazzeggio all’ennesima potenza”,
ma soprattutto “satira dal basso”. A conferma di questo enunciato tematico, egli presenta una
rassegna dimostrativa, con pedante e pornografica cura del dettaglio circa la
contrada d’origine e la professione delle twittstar intervistate. Donde, il progettista
web abruzzese, la tipografa di Olbia, la violoncellista romana, l’economista
calabrese, l’ingegnere sardo, il contabile pugliese. Giunto a tal segno, il
giornalista di Torrespaccata o Centocelle, mi sfugge il dettaglio, ha compiuto
la missione dell’articolessa, consistente nel menare condiscendente e ammirato stupore
per i “tanti anonimi di successo”.
Alla soddisfazione per il giusto tributo riservato alle persone passate
in rassegna, talune davvero formidabili, sale tuttavia un profondo disgusto per
il non detto che costituisce la miserabile premessa implicita del povero
giornalista del Tiburtino o del Prenestino, mi sfugge il dettaglio.
Secondo la teologia elementare dominante, infatti, il progettista
web progetta, la tipografa tipografa, la receptionist recepisce e la violoncellista
violoncella, il resto è loro precluso, massime pensare e anche scrivere. Quando
e se ciò accade, si tratta di eccezioni da zoo della società dello spettacolo.
Sfugge al giornalista di Torreangela che la divisione del lavoro
in questo angolo di mondo non ha natura tecnica, e pertanto, che il ruolo assegnato
a ciascuno non dipende dal talento e dal sapere posseduti ma da ben altri
fattori interamente dovuti alle ferree leggi della divisione sociale del
lavoro. Con le dovute eccezioni, beninteso.
Siccome non c’è da chieder troppo ad un povero articolista di borgata,
nondimeno, sommessamente si vorrebbe ricordargli l’efficace massima scespiriana:
"Ci sono più cose in Cielo e in Terra, Orazio, di quante ne sogni
la tua filosofia".
Perché non chiedersi, piuttosto, per quale ragione tanto talento
diffuso non trovi ruolo sociale, mentre solenni cretini di squisita ignoranza sono
mantenuti da preclare istituzioni culturali?
Ma questo è un altro discorso.
Ebbene, conviene che ci si rassegni: vi sono umili insegnanti capaci
di giochi linguistici mirabili, impiegatuzzi che dominano la forma epigrammatica,
tipografi capaci di associazioni fulminanti, disoccupati, dio ne scampi, che smontano
e rimontano le parole con acutezza raffinata. Proprio così, signora mia, non c'è più religione.
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