Inquietudine tra Leucò e i Corsari
Ho giocato con gusto al falò di Leucò. Senza alcun
pregiudizio e con l’ingenuità e la serietà che ogni gioco richiede, come sanno
bene tutti i bambini e qualche filosofo, Wittgenstein, per esempio.
Poi sulle sublimate ceneri dei Dialoghi con Leucò è
iniziata una riflessione interessante, sul significato di quel felice sacro
macello, certamente utile per l’autocomprensione di una pratica collettiva in
qualche modo originale, nonché per lo spazio comunicativo in cui si è costituita.
Non ho potuto leggere tutto, e tuttavia i contributi esaminati
recano il segno positivo della ricerca intelligente. Alcune recenti circostanze,
però, hanno acuito la mia curiosità, destando rugose perplessità, che ancora
non giungono a determinare argomenti critici chiari e distinti, ma certamente fieri
dubbi bensì.
L’esperienza della letteratura aumentata mediante pratiche di
scrittura collettiva, cumulativa o collaborativa, può generarsi a partire da un
qualunque testo? Alla stessa stregua, un testo narrativo e un testo
argomentativo sono suscettibili di riscrittura creativa?
Passato in giudicato che il testo narrativo si presti
senz’altro, quali ne sono le ragioni profonde?
Per contro, può un testo argomentativo, a dominante funzione
referenziale, fondato sul rigore logico e con precipue finalità comunicative,
dischiudersi ad una riscrittura creativa?
Un testo narrativo, ed in particolare un testo estetico, a
dominante funzione poetica è caratterizzato da una prevalente qualità
connotativa rizomatica, quale conditio
sine qua non della sua infinita interpretabilità e della sua apertura intertestuale.
Senza doverlo dire con la semiotica o la linguistica strutturale, già la
tradizione filosofica ne aveva enunciato l’essenza in termini di ambiguità, nescio quid, opacità (Sartre).
Forse è tale struttura testuale profonda la condizione di
possibilità della variazione creativa?
Ma un testo argomentativo ne è essenzialmente e deliberatamente
privo, perché strumentale alla dimostrazione, alla confutazione o all’informazione,
e pertanto costitutivamente caratterizzato da compiti che sono tanto più efficacemente
eseguiti quanto più è minimizzata ogni ridondanza connotativa in favore del
rigore referenziale, ecco, un testo così fatto può ragionevolmente prestarsi alla traducibilità
creativa? Ora, in caso di risposta affermativa, dobbiamo
inferirne che ciò accada in virtù di condizioni del tutto diverse da quelle individuate
per il testo estetico? In tal caso sarebbe lecito chiedersi quali possano
essere tali misteriose condizioni?
Il testo è caratterizzato da «ambiguità estetica quando ad
una deviazione sul piano dell’espressione corrisponde una qualche alterazione
sul piano del contenuto» (Eco). Ne discende che la riscrittura può giocare la variazione
creativa di un testo estetico sia sull’asse orizzontale del significante,
secondo registri formali, stilistici e combinatori, sia sull’asse verticale del
significato, secondo la moltitudine dei rimandi e dei contenuti culturali.
Ma un testo argomentativo aspira ad attingere solo valori di
verità e valori di coerenza che ne garantiscano la fondatezza, pertanto esso scongiura
necessariamente e intenzionalmente ogni e qualunque ambiguità, tanto sul piano
del significato, quanto a fortiori
sul piano della sua qualità espressiva, tendente ad una neutralità meramente finalizzata
all’efficace mediazione del contenuto asserito. Ne deriva che un testo argomentativo
è indisponibile alla riscrittura creativa, poiché si presta solo all’esegesi, al
commento o alla confutazione?
Siamo allora forse ad un bivio? Variazione creativa o mera esegesi?
Tali ingenui interrogativi forse sono sospinti solo dai
flutti malmostosi della mia incomprensione. In tal caso chiedo venia al lettore.
Disponendomi senz’altro a continuare il gioco con qualunque testo. Nondimeno.
Ché
se fallibili sono le teorie, figurarsi i dubbi.
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