All'amico, anzi complice, anzi fratello, Franco Chirico
L’autore di questo bizzarro e
romito Blog il 17 settembre 2017 ha avuto quasi
un sintomo, nel senso di Camilleri, leggendo l’articolo di Hanif
Kureishi, L’indiano Peter Sellers ci ha insegnato a ridere di noi,
pubblicato su Robinson di Repubblica. Il grande scrittore
inglese vi ripercorre la propria vicenda biografica di ragazzino di razza mista
cresciuto nella periferia sud di Londra, alle prese con una complicata
integrazione. Kureishi, in particolare, vi narra del suo grande amore per il
cinema ed in particolare per i film interpretati da Peter Sellers. Nulla di
che, fino a quando non prende a scrivere di uno di questi film, La
miliardaria. «Il film di Anthony Asquith, realizzato nel 1958, era un
adattamento, a opera di Wolf Mankowitz, della [omonima] commedia di Bernard
Shaw del 1936, in cui il protagonista maschile è un egiziano. Nella versione
cinematografica una divina Sophia Loren – una ricca aristocratica
italiana di nome Epifania Parerga – (qui s’ebbe il sintomo) si
innamora, tentando il suicidio, di un medico indiano musulmano, che all’inizio
la vede solo come una seccatura».
La semplice lettura di quel
nome e soprattutto di quel cognome era sufficiente a suscitare risa pensose
sulle imprevedibili corrispondenze che il caso apparecchia. Donde il desiderio
di conoscere l’aristocratica signorina Epifania Parerga immediatamente, ché
quando capita di poter vedere il titolo del proprio Blog, per dir così, in
carne ed ossa?
Ebbene, ehm, ecco l’epifania...
A questa visione le risa
divennero incontenibili, ma furono presto contrastate da un crescente
imbarazzato scrupolo. Ebbene, una signorina per giunta aristocratica non
credeva di esagerare esibendo in modo talmente sfacciato le sue proprie grazie,
davvero eccessive? Con quale diritto poi di compromettere un nome del resto
onorato, così da renderlo famigerato, al punto da coinvolgere nell’ignominia
chiunque per caso avesse avuto l’avventura di una omonimia?
Eppure, Monsignor Bouvier, nel
suo Manuale del Confessore*, era stato assai chiaro nell’additare quale
pericolosissima cagione di peccaminosa lussuria ornatus immodesti vel
superflui, ossia «l’abbigliamento immodesto e lussureggiante» che può eccitare
una equivoca concupiscenza ed altre morbosissime illusioni, fino a schiudere le
porte cedevoli della dissolutezza.
Fortunatamente, Monsignor
Bouvier, vescovo di Le Mans dal 1834 al 1854, nel suo preziosissimo Manuale
aveva nondimeno previsto indulgenti eccezioni: «Hinc, qui delectatur in videnda
muliere pulchra, in tangendo manus eius mollem, nihil ultra volendo, nec
sentiendo, nec periculum grave ulterius progrediendi incurrendo, mortaliter non
peccat», ossia, «non pecca mortalmente quegli che si diletta soltanto nel
contemplare una bella donna, nel toccarle la morbida mano, senza altro
desiderare, senza altro sentire, senza esporsi al grave pericolo di andar più
in là». Certo, quel nihil ultra volendo nec sentiendo, innanzi a compiacenti grazie fuor di misura opulente, necessita dell’esercizio di virtù eroiche fino all’ascesi,
eppure l’abracadabra, munito di sigilli vescovili utili a tener serrate
le porte dell’inferno, per intanto era servito. Misericordiosamente.
D’altronde, ad un più attento
sguardo, Epifania Parerga, in effetti, benché sorpresa in lingerie, non pare
poi a tal segno svestita da mostrare sciagurate nudità o altre turpi
trasparenze senz’altro oscene. Lo strizzato corpetto ad un occhio corrotto
potrebbe suggerire bensì audaci spudoratezze fornicatorie, ma nihil ultra
volendo nec sentiendo, chi vieta di credere piuttosto ad un intimo allusivo
omaggio alle forme castissime del violoncello? Le gambe sono malauguratamente
scoperte, e pur tuttavia le calze assicurano, ad ogni buon conto, un
velo di ineccepibile decenza. Il reggicalze poi è un mero accessorio
funzionale, alla stessa stregua di comunissime bretelle: come le bretelle
reggono i calzoni, così i reggicalze reggono le calze. Orbene, chi mai fu
turbato dalle bretelle? E allora, solo menti infettate da molto enfatiche
fantasie scostumate possono cavare dal reggente incolpevole accessorio
muliebre, lubriche lusinghe foriere di infuocati congressi carnali.
Tutti questi particolari, del
resto singolarmente per nulla univoci circa eventuali intenzioni sconvenienti,
sono poi decisamente redenti dai lunghi guanti immacolati, nonché dal candore
dei tre fili di perle, e definitivamente transustanziati, infine, dal vasto e
pudibondo cappello, un magnifico Borsalino a falde ampie e flosce, che tiene a
bada ogni più vezzosa ciocca ammiccante, restituendo Epifania ad una innocente
verecondia da abat-jour.
È ben vero che la curvilinea
floridezza rococò, la prosperosità turgescente, le forme smodatamente formose,
non si possono davvero negare; ma un equanime scrutinio, a un dipresso, può
revocare in dubbio ogni intento men che commendevole nell’abbigliamento della
elegantissima signorina Parerga.
Tirato un sospiro di sollievo,
(forse favorito dalla personale insensibilità al fascino debordante di tracotanti veneri greche, a cagione di perniciose inclinazioni per le grazie
sciupate di frali afroditi con glauco sguardo e pigrissima libido), tirato
dunque detto sospiro, non c’era che da considerare i sicuri effetti
benefici della casuale e imprevedibile omonimia. D’ora in poi, anziché essere
associato esclusivamente ad Arthur Schopenhauer – pensatore di gran peso ma
invero un poco dispeptico – il titolo Parerga avrebbe avuto in
Epifania una madrina di disinvolta leggerezza e giuliva allegrezza. Guai però a
voler celebrare le nozze tra il padrino e la madrina, dacché Arthur Loren o
Sophia Schopenhauer risultano ircocervi talmente inverosimili da mettere in
allarme i servizi di zoologia fantastica e igiene mentale competenti per
territorio.
Se, di contro, l’epifania di
Epifania Parerga è servita a suscitare almeno un po’ di buon umore, tanto
basta, di grazia. Il riso è proprio degli uomini, secondo Aristotele, sicché
sorridere ci aiuta, forse, a restare più umani. Non ci par poco di poterlo
ricordare, ridendo, nel genetliaco di Franco, che ogni sei ottobre ci piace
abbracciare gioiosamente, con la promessa di tanti ulteriori umani sorrisi.
*Monsignor Jean-Baptiste Bouvier – Venere al tribunale della penitenza,
Trad. it. e cura di Osvaldo Gnocchi-Viani, Claudio Gallone Editore, Milano, 1999.
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