giovedì 5 ottobre 2017

Epifanie


All'amico, anzi complice, anzi fratello, Franco Chirico

L’autore di questo bizzarro e romito Blog il 17 settembre 2017 ha avuto quasi un sintomo, nel senso di Camilleri, leggendo l’articolo di Hanif Kureishi, L’indiano Peter Sellers ci ha insegnato a ridere di noi, pubblicato su Robinson di Repubblica. Il grande scrittore inglese vi ripercorre la propria vicenda biografica di ragazzino di razza mista cresciuto nella periferia sud di Londra, alle prese con una complicata integrazione. Kureishi, in particolare, vi narra del suo grande amore per il cinema ed in particolare per i film interpretati da Peter Sellers. Nulla di che, fino a quando non prende a scrivere di uno di questi film, La miliardaria. «Il film di Anthony Asquith, realizzato nel 1958, era un adattamento, a opera di Wolf Mankowitz, della [omonima] commedia di Bernard Shaw del 1936, in cui il protagonista maschile è un egiziano. Nella versione cinematografica una divina Sophia Loren – una ricca aristocratica italiana di nome Epifania Parerga – (qui s’ebbe il sintomo) si innamora, tentando il suicidio, di un medico indiano musulmano, che all’inizio la vede solo come una seccatura».
La semplice lettura di quel nome e soprattutto di quel cognome era sufficiente a suscitare risa pensose sulle imprevedibili corrispondenze che il caso apparecchia. Donde il desiderio di conoscere l’aristocratica signorina Epifania Parerga immediatamente, ché quando capita di poter vedere il titolo del proprio Blog, per dir così, in carne ed ossa?
Ebbene, ehm, ecco l’epifania...




A questa visione le risa divennero incontenibili, ma furono presto contrastate da un crescente imbarazzato scrupolo. Ebbene, una signorina per giunta aristocratica non credeva di esagerare esibendo in modo talmente sfacciato le sue proprie grazie, davvero eccessive? Con quale diritto poi di compromettere un nome del resto onorato, così da renderlo famigerato, al punto da coinvolgere nell’ignominia chiunque per caso avesse avuto l’avventura di una omonimia?
Eppure, Monsignor Bouvier, nel suo Manuale del Confessore*, era stato assai chiaro nell’additare quale pericolosissima cagione di peccaminosa lussuria ornatus immodesti vel superflui, ossia «l’abbigliamento immodesto e lussureggiante» che può eccitare una equivoca concupiscenza ed altre morbosissime illusioni, fino a schiudere le porte cedevoli della dissolutezza.
Fortunatamente, Monsignor Bouvier, vescovo di Le Mans dal 1834 al 1854, nel suo preziosissimo Manuale aveva nondimeno previsto indulgenti eccezioni: «Hinc, qui delectatur in videnda muliere pulchra, in tangendo manus eius mollem, nihil ultra volendo, nec sentiendo, nec periculum grave ulterius progrediendi incurrendo, mortaliter non peccat», ossia, «non pecca mortalmente quegli che si diletta soltanto nel contemplare una bella donna, nel toccarle la morbida mano, senza altro desiderare, senza altro sentire, senza esporsi al grave pericolo di andar più in là». Certo, quel nihil ultra volendo nec sentiendo, innanzi a compiacenti grazie  fuor di misura opulente, necessita dell’esercizio di virtù eroiche fino all’ascesi, eppure l’abracadabra, munito di sigilli vescovili  utili a tener serrate le porte dell’inferno, per intanto era  servito. Misericordiosamente.
D’altronde, ad un più attento sguardo, Epifania Parerga, in effetti, benché sorpresa in lingerie, non pare poi a tal segno svestita da mostrare sciagurate nudità o altre turpi trasparenze senz’altro oscene. Lo strizzato corpetto ad un occhio corrotto potrebbe suggerire bensì audaci spudoratezze fornicatorie, ma nihil ultra volendo nec sentiendo, chi vieta di credere piuttosto ad un intimo allusivo omaggio alle forme castissime del violoncello? Le gambe sono malauguratamente scoperte, e pur tuttavia le calze assicurano, ad ogni buon conto, un velo di ineccepibile decenza. Il reggicalze poi è un mero accessorio funzionale, alla stessa stregua di comunissime bretelle: come le bretelle reggono i calzoni, così i reggicalze reggono le calze. Orbene, chi mai fu turbato dalle bretelle? E allora, solo menti infettate da molto enfatiche fantasie scostumate possono cavare dal reggente incolpevole accessorio muliebre, lubriche lusinghe foriere di infuocati congressi carnali.
Tutti questi particolari, del resto singolarmente per nulla univoci circa eventuali intenzioni sconvenienti, sono poi decisamente redenti dai lunghi guanti immacolati, nonché dal candore dei tre fili di perle, e definitivamente transustanziati, infine, dal vasto e pudibondo cappello, un magnifico Borsalino a falde ampie e flosce, che tiene a bada ogni più vezzosa ciocca ammiccante, restituendo Epifania ad una innocente verecondia da abat-jour.
È ben vero che la curvilinea floridezza rococò, la prosperosità turgescente, le forme smodatamente formose, non si possono davvero negare; ma un equanime scrutinio, a un dipresso, può revocare in dubbio ogni intento men che commendevole nell’abbigliamento della elegantissima signorina Parerga.
Tirato un sospiro di sollievo, (forse favorito dalla personale insensibilità al fascino debordante di tracotanti veneri greche, a cagione di perniciose inclinazioni per le grazie sciupate di frali afroditi con glauco sguardo e pigrissima libido), tirato dunque detto sospiro, non c’era che da considerare i sicuri effetti benefici della casuale e imprevedibile omonimia. D’ora in poi, anziché essere associato esclusivamente ad Arthur Schopenhauer – pensatore di gran peso ma invero un poco dispeptico – il titolo Parerga avrebbe avuto in Epifania una madrina di disinvolta leggerezza e giuliva allegrezza. Guai però a voler celebrare le nozze tra il padrino e la madrina, dacché Arthur Loren o Sophia Schopenhauer risultano ircocervi talmente inverosimili da mettere in allarme i servizi di zoologia fantastica e igiene mentale competenti per territorio.
Se, di contro, l’epifania di Epifania Parerga è servita a suscitare almeno un po’ di buon umore, tanto basta, di grazia. Il riso è proprio degli uomini, secondo Aristotele, sicché sorridere ci aiuta, forse, a restare più umani. Non ci par poco di poterlo ricordare, ridendo, nel genetliaco di Franco, che ogni sei ottobre ci piace abbracciare gioiosamente, con la promessa di tanti ulteriori umani sorrisi.



*Monsignor Jean-Baptiste Bouvier – Venere al tribunale della penitenza,
Trad. it. e cura di Osvaldo Gnocchi-Viani, Claudio Gallone Editore, Milano, 1999.







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