sabato 27 ottobre 2012

Ah Silvio


Silvio, rimembri ancora
quel tempo della tua vita immorale,
quando beltà splendea
nei rapaci tuoi denti e fuggitivi,
e tu, lieto e operoso, giulivi greggi
di gioventù violavi?


Sonavan le quiete
stanze, d’estasi e urla,
al tuo diuturno coito,
allor che all'opre priapesche intento
miravi, assai contento
quella vaga vicenda che in casa avevi.
Era l’omaggio amoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

E noemi vispa e vezzosa
e nicole callipigia e paraninfa, poi
patrizia di voluttà reina a tempo
e mara che ti rendea la miglior parte:
d’in su i veroni del didietro bello
porgea sue grazie alla tua zanna truce,
ed alla man veloce
che percorrea la misteriosa spera.

Mirava il ciel serena,
ai modi tuoi recisi mariastella,
e quinci il suol, e quinci il fonte:
lingua mortal non fece
più furïosa impresa.

«Che pensieri soavi,
che bagordi, che cori, o Ruby mia!
Piramidi o couscous
giacemmo a perdifiato!»
Quando sovvien tal rorido amorazzo,
il duol lo rende pazzo,
ond’ei riede alla cagion della sventura.

Oh Monilda, oh Monilda,
casta siccome angelo caduto
la turpe tua purezza
divora i figli tuoi!

Tu pria inaridita come gramigna al verno,
da ottuso morbo combattuta e vinta,
intirizzivi, o poverella. E non capivi
la gioia del tenero coir;
non ti molceva il core
il dolce bungabunga or delle belle negre,
or d’altre mille leggïadre prede;
né i congressi furtivi ai dì festivi
per ragionar d’amore.

Perché debbe perir
l’idillio di sua vita? Empia erinni dell’atro
fato, d’ognun è specchio lui
di giovinezza. Ahi come,
come insensata sei:
sì cacci itaglia all’ade, sciagurata,
non punto i vizi suoi.

Una ben triste vita ognor saria
ove furto d’amor et aurei meretrici,
fosser vizi grevi dall’orbe sbanditi.
Qual sorte fingi delle umane genti?
In quale inganno tu,
misera, cadesti: tra nembi il nume
la fredda morte ed una tomba ignuda
già di lontano cenna.

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