venerdì 26 ottobre 2012

Il cinque maggio del dodici novembre

Alle ore 21.42 del dodici novembre 2011, Silvio Berlusconi ha rassegnato le dimissioni nelle mani del capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
In occasione dell’imminente celebrazione del primo anniversario del fatale evento, a perenne ricordo o a futura memoria, vedete voi, ecco un carme accorato, in uno stile ampolloso e goliardico, mimetico e falsario, tanto caro al grand’uomo.

Autore sconosciuto



























Ei fu, riccone ignobile,
Dopo il feral martiro
Stette la spoglia immemore
Orba di crin caprino.
Così percossa e attonita
La gnocca al nunzio sta

Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale.
Né sa quando una simile
Orma di piè mortale
Il suo antro fremente
A trapestar verrà.

Lui folgorante e spolio
Vide il mio pel che piacque
Quando con prece assidua
Chiese implorò eppoi giacque,
Di mille coiti ardenti
Mai guiderdon negò.

Vergin giammai ahimè,
Ma di cotanto omaggio
Sorge il rimpianto al subito
Sparir del vago paggio
E scioglie all’urna un cantico
Che fede pur terrà.

Fu vanagloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: noi
Maledizion diuturne inviamo
A tutti quanti voi
Masnada d’invidïosi che
Bava sullui versò.

La porcellona e intrepida
Foia del gran mandrillo
L’ansia di un tor che indocile
Dona farfalle a mille
E tiene seco un premio
Ch’era follia sperar.

Tutto ei provò: la gloria
Del corrutor di minorenni
Di toghe e pennivendoli,
La reggia e poi gli affanni,
Due volte nella polvere,
Tant’altre sull’altar.

Ei si nomò il maggiore
Di centocinquantanni,
Re e cavaliere eponimo
Con scrigni tracimanti
Da occulti o obliqui conti
La cui vertà negò.

Mai perse dì nell’ozio,
E mirabolanti gesta
Narrarono gli aedi:
Ei lotta, imprende e appresta
È padre e pio marito,
Lepido et impostor.

Come grande fedifrago
Mente barando a tutti.
Da sua mente geniale
Fole sgorgano e rutti,
Panzane, balle e frottole
Mai dette invan però.

Fe’ de’ nemici un cumulo
Di sporchi e comunisti
Brutti, tristi e coglioni
Financo un po’ froscioni
Ma lui fu sempre nobile
Siccome un gentiluom

Dall’Alpi alle Piramidi
Ridono a crepapelle,
Albion inarca il ciglio,
Gallia sbertuccia molle:
Scoppiò da Scilla al Tanai
Beffa tonante ohimè.

Oh quante volte, al trepido
Scodinzolar di cortigiani,
Alzati i rai fulminei
Li ten per vili e inani:
Lui creator sublime
Lor merde giudicò.

Ripensò l’Orbo bleso,
Larissa rio e belluino,
Fede e Mora almeno
Portavano il regalino
Ma sol sventura alfine
Recò tal Niccolò.

Il Massimo con l’otre,
Sua croce e sua delizia,
Aperse il fiume d’oro.
Ma quanta fu malizia
Se un cavallaro truce
Infin se lo portò.

La soma di Duemonti
Fu odioso duol maligno:
Greve saccente e infame
Già barattier ferrigno.
Non come Cesarone
Che Roma gli comprò:

Con oblazion benefica
L’assise su pel mondo,
Con toghe tiberine
Fu vincitor facondo,
Ma disonor e Golgolta
Ahimè lo ripagò.

Tu dalle stanghe veneri
Già nano incipriato,
Per laute largizioni
Reso un adone amato:
Sulla deserta coltrice
Anco vorrai stupir?




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